sabato 31 maggio 2008

Da: L’ALTRO NOVECENTO (laltronovecento@laris-music.it )

I vestiti nuovi dell’imperatore

Dopo qualche indecisione sull’opportunità di portare a conoscenza di questo articolo anche il nostro ormai ampio pubblico, ci siamo risolti in senso affermativo. È probabile che esso risulterà di comprensione più immediata per i musicisti che non per gli appassionati, tuttavia (scusandoci per qualche indispensabile riferimento tecnico) lo scritto affronta un tema urgente: per questo ne proponiamo la lettura. Sono in molti ormai a rendersi conto della profonda lacerazione che da circa un secolo contrappone e in molti casi separa il pubblico dai compositori di “musica colta”. Certo le eccezioni non sono mancate: da Giacomo Puccini a Leonard Bernstein, da George Gershwin a Maurice Ravel, per non citare che pochi nomi. Tuttavia la maggior parte degli ascoltatori si trova sovente in una posizione pregiudiziale nei confronti della “musica moderna”, considerata a priori dissonante, noiosa, sgradevole ed indigesta, e noi non sappiamo dar loro torto. Le radici di questo fenomeno, unico nella storia della cultura occidentale (ricordiamo che ai tempi di Bach si ascoltava musica dei tempi di Bach, e ai tempi di Chopin musica dei tempi di Chopin), sono molteplici e complesse. Come se ciò non bastasse, poi, una schiera di musicologi, sociologi ed azzeccagarbugli di ogni risma e colore ha complicato e confuso a tal punto l’argomento da scoraggiare anche il più volonteroso degli appassionati, contribuendo così a creare quella strana realtà che sono i “concerti di musica contemporanea”, durante i quali si propinano lunghe infilate di brani dei quali si esalta e magnifica la “eccezionale forza innovativa” o la “raffinatezza timbrica degli impasti”. Benché queste curiose adunanze siano disertate dal pubblico e fruite quasi esclusivamente dagli stessi autori, tuttavia esse sono spessissimo alimentate dalle pubbliche sovvenzioni. E se per caso poi tali sovvenzioni vengono revocate, ecco che qualcuno grida all’attentato contro la “vera cultura”. Naturalmente i contribuenti restano del tutto all’oscuro di ciò, sovvenzionando così a loro insaputa un “servizio” che in ultima analisi serve solo a mantenere in vita questi curiosi conciliaboli. Così, tra un pubblico sempre più assente e l’incapacità non solo di farsi capire, ma spesso di avere da dire qualcosa che valga la pena d’essere compreso da parte dei compositori di oggi, all’interno delle accademie alcuni santoni della “musica moderna” si sono inventati a proprio uso e consumo inverosimili “crisi della musica”, coprendo con le pezze d’una filosofia spesso dilettantesca i limiti di questa pseudocultura. Si è così giunti a creare una realtà paradossale dove un matematico pretende di comporre musica a colpi di formule algebriche, o un “neoromantico” molto in voga (che del teatro musicale e della vocalità sembra saperne quanto un eschimese ne sa di elefanti) può allestire una sua “opera” in un importante teatro dove il pubblico, intimidito ormai da decenni di terrorismo culturale, si limiterà stancamente ad applaudire più per inerzia che per convinzione. Eppure la Musica, quella vera diciamo noi, non è affatto in crisi! La società, gli esseri umani, hanno sempre avuto, hanno ed avranno sempre bisogno della Musica. Guardiamoci attorno: persino nelle edicole è diventato abituale e facile procurarsi a basso costo splendide esecuzioni dei capolavori della nostra tradizione musicale. L’opera lirica sembra avviarsi verso un periodo di nuova popolarità e alcune coraggiose ed intraprendenti etichette discografiche lanciano sul mercato, ad un prezzo straordinariamente contenuto, ricchi cofanetti contenenti l’opera integrale dei musicisti più significativi. Da tutto questo fermento resta esclusa proprio la maggioranza dei compositori: chi arroccato sdegnosamente in una cattedra di conservatorio, chi dissimulando a fatica amarezza e frustrazione. Questo vecchio mondo di sedicenti intellettuali e di accorti amministratori delle loro scarse capacità musicali è ormai decrepito e deve rassegnarsi a lasciare spazio a nuove forze artistiche, vive e robuste perché radicate nella nostra splendida tradizione musicale ed al tempo stesso protese verso nuove e vitali forme d’espressione. Noi che la Musica la amiamo veramente consideriamo un dovere denunciare le ipocrisie, le storture e gli errori che hanno provocato questa situazione, convinti che sia finito il tempo di fingere di non vedere o per opportunismo o per timore dei potentati partitici. Siamo convinti che in tanti nutrono la speranza che la Musica torni ad essere appannaggio dei musicisti e del pubblico, e crediamo che molti attendano solo un piccolo segnale per iniziare a manifestare la propria insofferenza. Ricordiamo qui la bella e famosa fiaba di Hans Christian Andersen dove si narra dell’imperatore gabbato da falsi sarti che fingono di fabbricargli col nulla dei vestiti inesistenti, dopo averlo convinto che unicamente le persone intelligenti avrebbero potuto vedere la stoffa ed ammirare la preziosità dell’abito. Solo un bambino, vedendo l’imperatore sfilare in mutande, ebbe la sincerità di gridare: “L’imperatore è nudo!” Tutti presero allora coraggio e fecero eco alle parole del bimbo, mentre l’imperatore fuggiva pieno di vergogna a nascondersi. Amici, l’imperatore è davvero nudo da decenni, anche se alcuni vorrebbero farci ancora credere che sia parato d’oro, di porpora e di broccati! Ecco, noi speriamo che tante persone oneste di cuore e di pensiero prendano coraggio e comincino a dirlo apertamente: “L’imperatore è nudo ed è inutile continuare ad occultare la sua nudità coi sofismi.”
Per troppo tempo siamo stati defraudati della poesia e della Musica vedendoci rendere in cambio vuote e complicate parole. Tanti veri musicisti hanno lavorato in questi decenni senza potersi fare ascoltare, mentre i cortigiani proliferavano occupando teatri, direzioni artistiche e sale da concerto. Ora noi reclamiamo il diritto ad una Musica che sia espressione dell’uomo, una Musica che sappia redimere la realtà riaccendendo nelle persone la speranza e la gioia di comunicare.

domenica 25 maggio 2008

Il Flauto dolce nelle scuole

IL FLAUTO DOLCE
questo sconosciuto

Due parole sul flauto dolce così usato nelle scuole elementari e medie inferiori e così sconosciuto agli stessi insegnanti che lo usano in modo improprio e diseducativo.

Negli anni 70, quando la legge introduce l’obbligatorietà dell’educazione musicale e dell’educazione tecnica nella scuola media un folto numero di insegnanti entra di colpo nella scuola media ma per la maggior parte si tratta di insegnanti non preparati al nuovo compito.

I programmi ministeriali sono tanto aperti da suggerire tutto e niente, ma in classe bisogna avere un programma di lavoro, fare qualcosa e gli insegnanti , provenienti dai corsi per musicisti, si rendono conto che non è possibile insegnare il solfeggio o uno strumento “serio” o solo la storia della musica.

In loro aiuto accorre il commercio che rapidamente suggerisce l’uso del flauto dolce, delle “melodiche” (orrendi ibridi) e altri strumentini apparentemente semplici e qualche raccolta di facili melodie.

Sono strumenti in uso all’estero e vengono subito spacciati per buoni senza l’aiuto di uno straccio di obiettivi, di programma, di metodo.

Il flauto dolce impera: è piccolo e sta comodamente in borsa, costa pochissimo, va bene per tutti maschi e femmine; cosa ci può essere mai di meglio? (?!)

Peccato che gli insegnanti (e i genitori degli alunni) non si peritino di sapere da dove viene, cos’è in realtà e quali sono le qualità e i difetti didattici di quello che si può definire come il peggiore tra gli strumenti didattici.

Gli stessi insegnanti dichiarano che gli obbiettivi primari da far raggiungere agli alunni sono tra l’altro: la capacità espressiva, la capacità di intonare e riconoscere suoni intonati o stonati, la capacità di collegare il suono al segno scritto sul rigo.

Quando un ragazzo si esprime usa tanta o poca energia nella voce, nel moto, nei disegni ecc., ma col flauto dolce, se soffia un tantino di più per ottenere un suono potente, ottiene solo un sibilo perchè il flauto dolce ha questo “difetto”.

Inoltre questo strumento “scolastico” è di plastica dozzinale, mal costruito (quelli buoni, professionali, di legno, sono costosissimi) e quindi i suoni sono sempre imprecisi (stonati) e se poi suonano più flauti assieme avete mai sentito che cacofonia?

E, infine, nella scuola si usano flauti soprani dai quali esce un suono che non è corrispondente a quello che viene letto sul rigo ma è all’ottava superiore.

I tre obbiettivi dichiarati sono così mancati alla grande!.

Quanto poi alla facilità d’uso è tutta da scoprire, tant’è che tra la fine del ‘700 e nei primi decenni dell’800 al flauto dritto si è sostituito il flauto traverso dotato di chiavi per facilitare l’intonazione dei semitoni! La posizione delle mani è scomoda (l'ocarina è più agevole usa la stessa tecnica .... ma è di terracotta e italiana)

CHI LO CONOSCE....


Per coloro che non conoscono il flauto dolce (detto anche flauto dritto o flauto a becco o anche solo piffero) ecco alcune note sulla sua storia.

Strumento con imboccatura a fischietto (becco) di facile emissione ma di intensità costante.

Raggiunse la forma definitiva nel XVI secolo.

Nel 1535 Silvestro Ganassi Dal Fontego, strumentista in S.Marco a Venezia, scrive l'"Opera intitulata Fontegara la quale insegna a suonare di flauto".
In quest'epoca era costituita l'intera famiglia dei flauti dal soprano al basso.

Nel XVIII secolo al flauto diritto subentrò il flauto traverso che oltre a soddisfare meglio le esigenze espressive, più tardi, con l'applicazione delle chiavi Bohm, risolve le difficoltà di intonare i semitoni.

Ma il flauto dolce deve la sua attuale fama specialmente ad Arnold Dolmetsch (1858-1940) violinista e liutaio, figlio di costruttori di pianoforti, insegnante di violino al Dulwich College di Londra dal 1885 il quale, trasferitosi in America nel 1904 e poi a Parigi nel 1911 rientra a Londra prima della guerra 1914-18. Attratto dagli strumenti antichi e dalla loro letteratura (pubblica una raccolta di canti inglesi del XVI e XVII sec., una raccolta di canti francesi dal XII al XVIII sec. e un trattato sulla interpretazione della musica dei secoli XII-XVIII), si dedica alla riscoperta, alla costruzione e alla diffusione di strumenti antichi tra cui il flauto dolce.
Nel 1925 fondò il festival della musica da camera di Haslemer e nel 1928 la Dolmetsch Fountation.
Gli succedette nella direzione della ditta il figlio Carlo nato nel 1911, concertista di flauto dolce, sposato alla segretaria della Dolmetsch Foundation pure concertista di flauto dolce. Dati gli interessi intellettuali e commerciali, Dolmetsch riportò in vita il flauto dolce diffondendolo in Germania e in Inghilterra.
E’ appena il caso di aggiungere che sarebbe meglio lasciare il flauto dolce ai professionisti e alla musica da camera che gli è congeniale.
Quanto alla vera didattica della musica nelle scuole primarie e secondarie, ne parleremo meglio in seguito, se interesserà qualcuno.
...e finalmente una voce autorevole: Durante la trasmissione "CHE TEMPO CHE FA"  del 13/11/2010 il Maestro Riccardo Muti afferma quanto deleteria sia la pratica di quelli che, molto giustamente chiama col loro nome:"PIFFERI" nelle scuole primarie. !!!