lunedì 1 settembre 2008

Fantasmi a Milano

Fantasmi a Milano

Ci sono, ci sono davvero i fantasmi.
Li ho visti a Milano in centro a passeggio.

Pochi li vedono, ma se state attenti li vedete anche voi.

Camminano tra la folla tranquilli, con lo sguardo a volte attento, a volte perso nel vuoto.
Di tanto in tanto si soffermano ad osservare qualche personaggio strano, qualche oggetto esposto nelle vetrine o qualche particolare del Duomo.

Entrano nei grandi magazzini, salgono all’ultimo piano, passano per le toilettes e poi scendono piano per piano gironzolando un po' ogni dove.

Davanti alle edicole gettano uno sguardo alle pubblicazioni esposte, poi entrano in libreria dove perdono tanto tempo a sfogliare, soppesare, confrontare, sempre o quasi senza fare acquisti.

A volte, soprattutto quando piove, deviano da questi percorsi e passano nelle biblioteche oppure entrano in qualche galleria d’arte o dove, una volta, c’era una piolla in cui sedersi a bere un buon bicchiere in compagnia, ma ora al posto della piolla c’è un locale con un barman, un bancone senza sedie, senza tavoli, senza compagnie.

Difficile vederli, quasi impossibile notarli.
Eppure erano persone importanti, bravissimi operai, ottimi impiegati, dirigenti rispettati, donne splendide e corteggiate, mamme amorevoli, professionisti ossequiati, ben difficilmente però persone molto famose della politica, dell’arte, della scienza.

I fantasmi erano conosciuti solo in ristretti entourages a volte solo nella cerchia dei familiari.
Tutti con un bagaglio chi piccolo, chi grosso, chi grandissimo, di esperienza, di cultura, di specialità nella conoscenza o nella manualità.

Poi improvvisamente, qualcuno meno velocemente di altri, ma inesorabilmente, sono diventati invisibili, non sono più nessuno, vivono di sé stessi a volte smettono di pensare.
Tanto a che serve.
Non c’è più nessuno con cui comunicare.

Il momento dell’eclissi, della scomparsa, della metamorfosi, del passaggi dalla luce all’ombra, come il terminatore, quella linea di demarcazione tra la zona luminosa e quella in ombra della luna, per gli esseri umani ha un nome e alcuni sinonimi: quiescenza, pensione, riposo, giubilato ecc.

Da quel momento è come se si fosse liberato dello spazio nel quale ognuno di loro si trovava e che si riempie subito di aria fresca, profumata, anche se resta un senso di vuoto e di una moderna incapacità ma tutto si ricompone subito e sono presto dimenticati.

Da quel momento cominciano a non interessare più nessuno; il coniuge che nota ormai solo i difetti, i figli che, con amore, vedono in loro la praticità di aiuti amorevoli e il capitale che resterà dopo la dipartita, nei negozi “cosa mai potrà voler un vecchio”, agli spettacoli “dopo i sessantacinque vanno solo a scroccare lo sconto”, nelle gallerie d’arte “quello certo non compra nulla”, nelle boutiques si cerca di rifilarle quel capo che non va più, ai bricolages “i vecchi cosa vuoi che capiscano”, nelle ricerche di mercato “con esclusione dei pensionati”, ecc.ecc.
Ma a qualcuno ancora interessano.
Alla sanità: perché la vecchiaia (degli altri) è una manna per ospedali e farmacie, dopo i sessanta di sicuro cominciano le magagne e allora vai con esami, lastre, prenotazioni, visite e poi interventi, medicinali, medicinali e ancora ...
Alle religioni: perché la paura della morte con la quale sono sempre stati minacciati e che adesso vedono più da vicino facendo il conto medio degli anni che restano da vivere, crea o rafforza il bisogno del conforto religioso
Ai profittatori: perché “se gli stai vicino magari poi riesci a farti lasciare ciò che possiede”
Ai politici: perché “comunque, fin che vive, è sempre un voto in più”.

E allora eccoli, in giro, fantasmi che nessuno guarda perché son brutti, perché non servono, anche se sono biblioteche ambulanti, cumuli di arte, di conoscenza, di maestria, colmi di ricchezze interiori che sarebbero tutte da scoprire e disgrazia perdere, vagano con lo sguardo perso, a volte in balera a volte in viaggio, spesso a passeggio, tremebondi nelle sale d’attesa di ambulatori o seduti in una poltrona a teatro, ma sempre consapevoli di tutto questo e per questo con la depressione attaccata al colletto, mentre pensano:
Agli altri non importa quello che sei, né quello che fai.
Importa solo quello che dai.

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